DUE GIOVANI DONNE IN CERCA DI VITA E DI LIBERTÁ
Nevia e Scales nella rassegna “Venezia a Napoli”
Di Antonio Tedesco
Venezia a
Napoli, Nona Edizione. “Il cinema esteso”, un’estensione che va intesa in senso
concettuale prima ancora che fisico. Nell’incontro non solo con film che
altrimenti sarebbe difficile vedere nei normali circuiti distributivi, ma,
attraverso di questi, con altre realtà e con altre culture. Per scoprire
affinità, più che differenze. Per riferirci solo, a titolo di esempio, a due
film proiettati nei primi giorni della rassegna (che presenta una selezione di opere
scelte tra quelle più significative e meno “visibili” tra quante proiettate
all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, e che si è tenuta al Cinema Astra di
Napoli e in varie altre sale dislocate nella provincia dal 22 al 28 ottobre
scorsi), e cioè Nevia, esordio della
regista napoletana Nunzia De Stefano, che nella 76^ Mostra d’Arte
Cinematografica di Venezia era nella sezione Orizzonti, e Scales, di Shahad Ameen,
giovane regista araba anche lei al suo primo lungometraggio, selezionato,
sempre per la rassegna veneziana, per la Settimana della Critica. Due film che
hanno al centro della narrazione donne giovanissime. La diciassettenne Nevia
del titolo, nel primo caso, e la dodicenne Hayat, nel secondo. Entrambe sono in
lotta con l’ambiente in cui vivono, con mentalità, usanze e tradizioni che vorrebbero decidere e
predeterminare il loro destino. Entrambe si ribellano, cercano la propria
strada, rifiutano quella che altri pretenderebbero di avere già tracciato per
loro. Nevia vive a Ponticelli, periferia di Napoli, in un campo containers, con
nonna, sorellina e zia. E’ insofferente, mossa da sana inquietudine
adolescenziale, vuole conoscere il mondo e non rassegnarsi al matrimonio di
comodo cui tutti sembrano spingerla. Incontrerà il circo, che in questo
contesto crudamente realistico, ritrova tutta la sua carica simbolica e
poetica. Quella di un altrove di vita e di libertà, di un orizzonte nuovo e
diverso, e forse salvifico per la ragazza e la sua sorellina, in fuga da una
realtà chiusa e opprimente.
La storia
di Hayat è, invece, ambientata in un paese arabo, in uno sperduto villaggio di
pescatori situato lungo una costa arida e scoscesa. Dove vige l’antica
tradizione di sacrificare la primogenita femmina al mare per propiziarne i
favori. Sacrifici umani che tornano sotto forma di sirene, ibridi donna-pesce,
che gli uomini cacciano e delle quali si nutrono. Salvata all’ultimo momento
dallo scrupolo paterno che, ancora neonata, la ritira su dopo averla immersa
nelle acque del mare, Hayat crescerà emarginata e mal vista nel piccolo
villaggio, ma troverà la forza di reagire in un rapporto quasi simbiotico
proprio con quel mare al quale doveva essere immolata. Quasi fosse una piccola,
smarrita sacerdotessa che assume in sé lo spirito di tutte le vittime
sacrificate prima di lei. Un film crudo e poetico anche questo, scolpito in un
bianco e nero che imprime grande forza evocativa alle immagini (con un tocco
rosselliniano, ci è parso). Con figure umane spesso riprese in campo lungo, sovrastate
dall’imponenza di una natura indifferente e spietata. Mentre Nevia, nel film
della De Stefano, è tallonata passo passo, ne sentiamo il respiro, l’ansimare,
ci muoviamo con lei, incessantemente, da un punto all’altro del suo piccolo
mondo.
Due
storie, due stili, due universi che si incontrano nel minimo comune
denominatore di queste ragazze alla ricerca della propria vita e della propria
legittima libertà. Forse un riflesso delle due giovani, determinate e caparbie
registe che , con le loro opere prime, ce le hanno raccontate.
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