LORO 1/2 di Paolo Sorrentino
Servizio
di Antonio Tedesco
Di film in film, seppur in alcuni
casi (La Grande bellezza) con qualche
svolazzo di troppo, Sorrentino sta elaborando un grande affresco sulla
decadenza umana, politica, sociale. A cominciare da Il Divo, dove costruisce un incalzante compendio di storia
dell’Italia repubblicana (la cosiddetta Prima Repubblica) attraverso quella che
è stata per decenni la sua figura più rappresentativa, Giulio Andreotti.
Ritratto tra luci e ombre, ambiguità e ragion di Stato. Passate al vaglio di
una forma cinematografica rigorosa e non, in questo caso, semplicemente
estetizzante. Motivata da precise e finalizzate esigenze espressive. In questo
film, del 2008, attraverso la forma “artefatta” ed elaborata della messa in
scena emergono frammenti di “verità” che nessun realismo potrebbe restituire.
Quelle “verità” sommerse e indicibili che muovono le cose malgrado sé. Quelle
verità ineluttabili e inesorabili che pendono sulle teste degli uomini e dei
popoli.
Così in Loro, diviso in due film che inquadrano due momenti distinti ma
complementari, la narrazione procede per frammenti, per dettagli, per quadri. A
costruire un insieme che, se a prima vista può sembrare sfilacciato e
incoerente, finisce, in realtà, con il fornire gli elementi che compongono una
visione complessiva composita e articolata. Nella quale, da una certa austerità
che contrassegnava Il Divo, si passa
ad un’ostentazione anche pacchiana, che trasferisce in ville faraoniche e
barche lussuose quei giochi di potere che nel film su Andreotti si tenevano
nelle “segrete stanze”.
Nel dittico recente di
Sorrentino, il personaggio principale (Silvio Berlusconi, per gran parte del
film indicato semplicemente come “Lui”), si definisce all’interno dell’ambiente
che lo circonda e in qualche modo lo produce. Ne è l’ispiratore, ma anche
l’espressione più compiuta. Attraverso uno stile che supera i limiti della
narrazione classica e conseguenziale, il regista costruisce un affresco dove i
personaggi vengono tratteggiati con precisione, pur conservando sempre qualche
sfumatura di indefinibilità, di inafferrabilità, che li rende sfuggenti non
tanto al racconto delle loro vicende, quanto a se stessi, alle loro verità
interiori.
Il film procede quindi per
blocchi narrativi, che elevano il reale (spesso inteso come banale o superfluo)
a metafora di un mondo. Attraverso segni che oltrepassano il contesto in cui
sono prodotti e diventano sintomi di una deriva verso la quale quello stesso
mondo sembra inevitabilmente destinato.
Dunque, l’inesorabile
decadenza, sociale e morale di cui quella fisica è forse solo metafora (la
scena in cui la ragazza riluttante fa notare a “Lui” di avere un alito da
vecchio, ma anche Youth – La giovinezza,
altro film che, come Il Divo, si
immette sulla direttrice di Loro 1-2),
si presenta, in queste ultime opere di Sorrentino, come ineludibile destino,
tragico e grottesco a un tempo, della condizione umana.
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