"L'amore oltre il tempo", il corto di Emanuele Pellecchia celebra il cinema muto e in bianco e nero di Charlot e Méliès
di Antonio Tedesco
L’innovazione
del digitale nel settore audiovisivo, sempre più perfezionata, ci ha abituati
ad una visione, per certi versi, più vera del vero, la cosiddetta “alta
definizione”. Una sorta di iperrealismo che, grazie anche alla possibilità di
intervenire con aggiustamenti e manipolazioni, ci mette di fronte ad una realtà
addirittura aumentata nella nitidezza delle sue forme e dei suoi colori. Lo
spettatore si trova, così, a confrontarsi con qualcosa di talmente definitivo e
compiuto che ben pochi margini restano alle sue facoltà di immaginazione. La
funzione del “lector in fabula” di cui teorizzava Umberto Eco, diviene sempre
meno rilevante, sostituita dalla considerazione che tutto è così
ineluttabilmente vero(simile) che non rimane altra scelta che porsi in
condizione di assoluta passività nei confronti delle immagini che transitano su
uno qualunque degli innumerevoli schermi che la moderna tecnologia ci mette
oggi a disposizione.
Contro
questa tendenza, per riscoprire l’emozione di una visione “imperfetta”, che ci
restituisca al nostro ruolo di spettatori attivi, va L’amore oltre il tempo, il cortometraggio prodotto dalla Phoenix
Film Production, per la regia di Emanuele Pellecchia, da un’idea dello stesso Pellecchia
e di Luna Cecilia Kwok. In tempi quindi, dove “l’higt definition”, come sopra
detto, imperversa, il regista e i suoi collaboratori, hanno avuto il coraggio
di realizzare un film muto e in bianco e nero che, ricalcando la maniera del
cinema delle origini, si basa tutto sull’azione e sull’espressività degli
attori. Il breve film (14’) ci riporta,
quindi, a quelle emozioni originarie (a quella sensazione di meraviglia) che
gli spettatori dei primi anni del secolo scorso, provavano di fronte alla
novità dell’immagine in movimento. Un salutare tuffo nel passato per riscoprire
la forza espressiva e emozionale di qualcosa che, sommersi come siamo dalla
valanga di immagini che ci giungono da ogni dove, diamo troppo per scontato ed
acquisito.
Ritrovarsi
di fronte ai fotogrammi incerti e tremolanti del vecchio cinema muto, alla
recitazione un po’ surreale degli attori che si manifesta esclusivamente
attraverso gesti, espressioni del viso e movimenti del corpo, ci restituisce il
valore di quelle stesse immagini, la loro forza evocativa, che la perfezione
tecnologica rischia di ridurre a semplice procedimento riproduttivo.
Coerentemente
con tali premesse, L’amore oltre il tempo
è quindi giocato tutto sulla mimica degli attori e sui classici tempi
leggermente accelerati. Mette in comunicazione (con l’escamotage del telefono
che, dal vecchio apparecchio a disco ad un moderno cellulare, segna la
staffetta del tempo) due mondi e due epoche, ma privilegiando la poesia e il
romanticismo di quelli passati. Ci sono Charlot, evocato, ma senza
manieristiche imitazioni, dall’interprete principale, Luca Lombardi, e anche
Méliès, adombrato come una sorta di “artefice magico”, nelle vesti di
“rigattiere dell’immaginario”, nell’interpretazione di Vincenzo Merolla. È
questo personaggio, infatti, a fare da “ponte” tra passato e futuro, tirando
fuori dagli anfratti della sua bottega, questo misterioso oggetto che chiamiamo
smartphone. Ed è proprio questo ritrovamento a dare il via ad una storia
d’amore stilizzata, che transita, grazie al “magico” telefonino, anche in tempi
contemporanei, adeguando ovviamente, colore e qualità delle immagini agli
standard di oggi, per rituffarsi poi in un, forse più imperfetto, ma più caldo
e rassicurante passato. Insomma, L’amore
oltre il tempo sembra essere una appassionata dichiarazione d’amore innanzitutto
verso il cinema, per le sue forme più autentiche e pure. La perizia tecnica,
che comunque, occorre oggi per girare un film “antico”, è abilmente celata. Il
tutto è ammantato di poetica levità, dove la poesia, appunto, del vecchio
cinema, ma anche del “vecchio” libro – grazie al quale i due innamorati,
superando le barriere del tempo, si ritrovano ‒ vince sulla fredda modernità (e
sui nostri amati-odiati telefonini cellulari).
Il
film ha avuto la sua prima proiezione ufficiale al Cinema Plaza il 5 febbraio
scorso, introdotto dal critico Alberto Castellano e dal giornalista Giuseppe
Giorgio, e alla presenza dell’intero cast composto (oltre che dai già citati
attori) da: Denise Capuano, Enzo Perrotta, Francesco Saverio Tisi, Gianluca
Testaverde, Elena Erardi, Nicola Mondino.
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